Renzo Chelazzi: una vita al comando fra avventure e innovazioni
L’esperto capitano si racconta in questa intervista che ripercorre una lunga carriera iniziata con un armatore particolare appassionato di offshore

Il comandante Renzo Chelazzi, viareggino, in questa intervista condivide con SUPER YACHT 24 alcune tappe della sua carriera densa di avventure al comando di splendidi super e mega yacht che hanno navigato in ogni angolo del mondo.
Comandante Chelazzi, ’38 anni di carriera alle spalle e non sentirli’, con un inizio che descrive bene la sua personalità; ce lo racconta?
“Appena diplomato al Nautico volevo imbarcarmi sui mercantili per prendere il titolo di capitano di lungo corso, ma in quegli anni non era affatto facile, così iniziai a lavorare su un piccolo yacht di 25 metri, di un armatore arabo, viaggiando l’estate nel Mediterraneo. Un anno e mezzo dopo lo yacht fu venduto e per non rimanere inattivo entrai come commesso in un negozio; in quel periodo arrivò una telefonata di un amico che dette il via alla mia carriera: c’era un posto da primo ufficiale su un 50 metri – a quell’epoca un vero megayacht – che però sarebbe partito il giorno dopo! Lasciai tutto e partii. L’armatore era l’ingegner Edoardo Polli, persona estremamente attiva: partimmo l’estate per una crociera nel Mediterraneo, poi l’inverno andammo nelle isole Comore e alle Seychelles nell’Oceano Indiano fino a che, l’estate successiva, nel viaggio di rientro dal Nord Europa, il comandante – non soddisfatto del rapporto con l’armatore – comunicò le sue dimissioni e sbarcò all’arrivo a Viareggio. A quel punto l’armatore – che era imprenditore, ma anche pilota di offshore – mi elesse comandante, dandomi appuntamento a Key West, in Florida, per i campionati del mondo di offshore. Partimmo da Viareggio nell’ottobre ’87 per giungere a Key West dove ci raggiunse l’armatore per gareggiare. Ripartiti da Key West esplorammo le isole e i posti all’epoca più sconosciuti toccando le isole Cayman, il Chinchorro Bank, il Belize, Honduras Spagnolo, Cozumel e la Giamaica per uno spare parts di un motore. Rientrammo a febbraio dell’88. Nello stesso anno corsi in offshore con lui sul monocarena vincendo a Saint Tropez e mi capitò anche di pilotare un catamarano in gara per l’Europeo. Fu questa la mia prima avventura come comandante.”
Come ha potuto, nonostante la poca esperienza, affrontare il ruolo di comandante con un armatore così iperattivo e uno yacht di quelle dimensioni?
“Avevo 24 anni. Credo sia stata la mia giovane età a darmi il coraggio di affrontare la sfida. L’ingegner Polli era davvero instancabile: diceva sempre che se la barca non aveva fori non poteva affondare e così navigavamo in ogni condizione meteomarina, con lui a bordo anche negli spostamenti e spesso alla manovra del suo 50 metri, il Codecasa Aleanna. Andammo poi ai Caraibi e alle Maldive, e nel frattempo costruimmo un nuovo Codecasa di 62 metri, insieme all’architetto Vincenzo Ruggiero. Lo yacht era il Sokar, al tempo nominato Jonikal (la barca dove Lady Diana venne fotografata con Dodi Al Fayed n.d.a.).”
Quando è tornato a navigare su superyacht di oltre 50 metri?
“Volevo prendere la patente di capitano lungo corso per cui avevo studiato, ma mentre stavo facendo il mio percorso iniziato da terzo ufficiale passando da una petrolchimica a una gasiera, e già sapevo che sarei diventato primo ufficiale nel successivo incarico, ricevetti una chiamata dal cantiere Codecasa che mi proponeva un comando per il dottor Orsi. Era il 1995; un anno dopo il dottor Orsi con i suoi soci rilevò il cantiere Baglietto, poi dal 2005 uscì dalla società e con i suoi soci fondò Tankoa; sono stato con lui fino al 2005, passando da un Codecasa di 30 metri a un Baglietto di 42. Successivamente ho continuato la mia carriera con altri armatori di varie nazionalità. Ho poi lavorato in Tankoa, quando Orsi e i suoi soci mi chiesero, data l’esperienza che avevo accumulato, di diventarne direttore commerciale, collaborando anche come comandante di armamento e dando input sulle nuove costruzioni; le prime due barche che avevamo in cantiere erano due 70 metri. E’ stata un’esperienza molto impegnativa, senza orari, durata sette anni, che mi ha dato molto. Negli anni che sono seguiti ho avuto altri incarichi, più spesso su yacht di dimensioni dai 50 ai 72 metri, fino ad arrivare al mio attuale incarico di comandante per un armatore italiano, sulla sua barca PrivateGG, un Crn di 52 metri.”
Nel corso delle sue numerose traversate, affrontando mari talvolta insidiosi, quali sono stati i momenti in cui ha percepito un autentico senso di pericolo?
“Uno di questi risale al 1989, nei pressi dell’isola di Abd Al Kuri, nello Yemen del Sud. Fummo avvicinati da un’imbarcazione con due individui armati di mitra. Volevano rifornimenti: un fusto di gasolio, casse di birra e pacchetti di sigarette. Appena si allontanarono per scaricare il bottino, salpammo immediatamente, consapevoli del pericolo appena scampato. In un altro viaggio in Giamaica ci salvammo da un’imboscata di pirati grazie a una brusca virata del nostro pilota esperto di quelle situazioni nell’area, ed ancora, vicino ad Haiti, ci trovammo di fronte a una nave immobile che non rispondeva ai nostri tentativi di comunicazione e poco dopo iniziammo a notare alte colonne d’acqua levarsi tra la nave e la costa, probabilmente dovute a colpi d’arma da fuoco o ad esercitazioni; anche lì ci allontanammo a tutta velocità. Infine, tra Martinica e Dominica, venimmo circondati da piccole imbarcazioni: in quel frangente imbracciammo le armi che tenevamo nascoste, lanciando un avvertimento chiaro che funzionò perché i barchini si allontanarono.”
I cambiamenti climatici hanno mai rappresentato un pericolo durante le sue navigazioni? Quali misure preventive adotta in crociera per mitigarne gli effetti?
“Durante una traversata atlantica nell’ottobre 1987 mi sono trovato a fronteggiare una depressione tropicale del tutto inaspettata in quel periodo, a parere delle pilot chart, carte che danno le statistiche delle condizioni meteorologiche degli ultimi 30 anni e le percentuali di rischio, e ora la frequenza dei fenomeni e la loro pericolosità è molto aumentata. Per navigare in sicurezza adotto diverse precauzioni: pianifico i viaggi analizzando le previsioni meteo a 24-48 ore, e monitoro costantemente la situazione per intercettare cambiamenti improvvisi; nelle navigazioni di media durata, pianifico rotte che consentano ripari sicuri in caso di maltempo entro 2-3 ore, per viaggi più lunghi mi affido a servizi meteorologici specializzati come Navimeteo, che forniscono previsioni dettagliate e assistenza continua. Considero anche l’effetto del vento sulla costa, che nel Mediterraneo è un fattore critico, nelle zone a rischio come la costa orientale di Corsica e Sardegna o il golfo di Porto Rotondo. Per le navigazioni più lunghe o in condizioni meteo particolarmente variabili utilizzo abbonamenti a servizi meteorologici specializzati e consulto esperti di meteorologia. L’attenzione non è mai troppa e se intercetto il minimo rischio non parto.”
Fra i grandi yacht che ha comandato c’è anche il Kinda, il superyacht ibrido di Tankoa. Qual è la sua opinione su questo sistema di alimentazione per gli yacht?
“Il sistema ibrido del Kinda, che combina motori termici ed elettrici, permette di navigare in modalità silenziosa e senza emissioni. La tecnologia è inoltre piuttosto gestibile durante la costruzione. Al tempo seguii tutto l’apprendimento con Siemens, la società responsabile del pacchetto ibrido dello yacht. Con i generatori fermi si eliminano le emissioni in atmosfera, ovviamente la velocità va in proporzione alla potenza del motore. Quando le batterie scendono a un livello critico del 10-15%, il generatore si attiva per ricaricarle in circa tre ore. Questo consente di ridurre drasticamente le emissioni atmosferiche, permettendo di operare per il 50% del tempo solo con le batterie. Per raggiungere risultati apprezzabili dal punto di vista della sostenibilità nella nautica, la propulsione è fondamentale, e quella ibrida va in una direzione promettente.”.
Quali soluzioni specifiche sono state adottate sul Kinda per ottimizzare spazio, costi, sicurezza ed efficienza?
“L’integrazione delle batterie su un’imbarcazione di 50 metri come il Kinda ha richiesto un approccio ingegneristico meticoloso, specialmente in termini di sicurezza e ottimizzazione dello spazio. Le batterie sono state distribuite in compartimenti stagni, sotto il pagliolo del garage e in aree accessibili ma protette, come sotto la discesa di una scala, per massimizzare l’utilizzo dello spazio disponibile e bilanciare il peso in modo ottimale. Un sistema di raffreddamento a chiller mantiene le batterie a una temperatura controllata, prevenendo il surriscaldamento, che è una delle principali cause di degrado e potenziale pericolo nelle batterie agli ioni di litio. Sono stati implementati inoltre sistemi di monitoraggio continuo dello stato di carica, della tensione e della corrente, con allarmi automatici in caso di anomalie. Il sistema ibrido consente di navigare in modalità elettrica per una parte significativa del tempo, riducendo consumo ed emissioni. In più in modalità “booster” si combina la potenza dei motori termici ed elettrici ottenendo prestazioni elevate quando necessario, mentre la digitalizzazione del sistema permette un controllo da remoto da parte della casa produttrice, per avere sempre il massimo dell’efficienza operativa.”
In 38 anni di carriera ha conosciuto molti personaggi famosissimi, c’è qualche episodio che la fa sorridere?
“Ne ho conosciuti davvero tanti, tra cui diverse attrici. Ho conosciuto anche la principessa Carolina di Monaco, e suo marito Stefano Casiraghi, che correva con il mio armatore nell’offshore, e poi anche il principe Alberto a Montecarlo che salì tanti anni dopo sulla nostra barca Tankoa per premiarci, perché aveva vinto un Super Yacht Award. Gli dissi che avevo conosciuto sua sorella nel corso delle gare, lui mi chiese in un orecchio quale era il mio nome e poi, per tutto il tempo, non fece che chiamarmi davanti a tutti come se fossimo grandi amici nello stupore generale. Fu simpaticissimo.”.
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