Simonetta Vecoli: “Sogno una nuova comunità del mare. Tutta al femminile”
Un’idea nuova: creare una rete di donne armatrici per condividere la cultura dell’andar per mare

L’intervista che segue è la seconda di una serie condotte in collaborazione con AssoYacht, associazione che rappresenta gli interessi dei proprietari o armatori di unità da diporto. Livio Cossutti (AssoYacht International), Giovanna Vitelli, Lorenza Guerra Seràgnoli, Simonetta Vecoli, Elio Serra, Gabriella Pantani, Andrea Ruscica, Italo Fontana, Dario Castiglia e Fulvia Codecasa sono tra gli armatori associati ad AssoYacht che hanno deciso di raccontare (e condividere) le loro storie di vita e la loro passione per il mare insieme a SUPER YACHT 24 e all’interno del primo numero dell’AssoYachtMAG.
Non ama i luoghi mondani della nautica, né la scena patinata dei porti più affollati. Simonetta Vecoli preferisce le rade silenziose, i porticcioli senza tempo, le boe isolate dove si ormeggia con calma e si respira libertà. Il mare, per lei, non è esibizione ma sostanza. Un’eredità familiare che oggi si traduce in scelte consapevoli, desideri semplici e progetti che guardano oltre la rotta tracciata. Dal Gemini alla Sardegna, dalla Corsica ai sogni futuri, la sua navigazione è fatta di memoria, concretezza e bellezza autentica.
Com’è nata questa passione per il mare?
È una cosa che ho dentro da sempre. Sono cresciuta in Versilia, quindi il mare faceva già parte del paesaggio quotidiano. Poi mio padre, per lavoro, andava spesso in Sardegna, e fin da piccola mi portava con sé. Lì è cominciato tutto. Abbiamo anche comprato una casa in zona Santa Teresa di Gallura e da allora, estate dopo estate, il legame con la barca è diventato sempre più forte. Prima barche piccole, poi sempre più grandi, fino ad arrivare a un Mangusta, e poi a un Sanlorenzo. Diciamo che non è mai stato solo un hobby, ma qualcosa di naturale, di familiare.
Quindi il mare, e la barca in particolare, sono sempre stati un affare di famiglia.
Sì, assolutamente. Era il nostro modo per passare tempo insieme, per stare uniti. Mio padre, mia madre, le mie sorelle, mio figlio… Le vacanze in barca erano l’unico periodo dell’anno in cui riuscivamo davvero a viverci. Mio padre lavorava sempre, io pure, e quei venti giorni in barca erano preziosi. Partivano loro in anticipo e io li raggiungevo appena possibile. La Sardegna è sempre stata il centro di tutto. Ancora oggi quella casa c’è, tra Santa Teresa e Palau, davanti all’isola di Spargi. Per me è uno dei luoghi più belli che ci siano. Un luogo del cuore, insomma.
C’è un altro posto che, quando lo raggiunge in barca, le fa dire “ora sono a casa”?
Sì, c’è un posto in Corsica, Girolata, è uno di quei luoghi raggiungibili solo via mare, dove si ormeggia alla boa, con due pontili di legno, pochi ristorantini. Di sera diventa magico. Niente macchina, niente confusione. È uno di quei posti dove torno ogni anno, quando posso. Ma anche solo navigare tra Spargi, La Maddalena, Caprera, Bonifacio… per me è sempre casa.
Ha mai pensato di fare una lunga crociera, di prendersi davvero tanto tempo per vivere il mare?
Sì, è un sogno che tengo lì. Prendere la barca e starci tre, quattro mesi. Senza fretta, senza itinerario fisso. Andare dove porta il vento. Non è facile per tutti. Spesso le barche restano inutilizzate per gran parte dell’anno, ma quando uno ha la passione vera, anche pochi giorni diventano intensi.
Ha trasmesso questa passione anche a suo figlio?
Sì, l’ha presa in pieno. Ora ha la sua barca e se la gestisce da solo. È cresciuto in barca, come me. Una volta ha dimenticato di controllare la benzina e siamo rimasti bloccati. Però ha imparato la lezione. Il mare ti insegna rispetto, te lo impone.
Cos’è che il mare le ha insegnato più di tutto?
Che non si improvvisa. Va rispettato. Non basta prendere e partire. Bisogna sapere dove si va, guardare le previsioni, essere pronti. E questo vale per la vita in. generale, non solo per il mare.
Ha vissuto anche momenti complicati?
Eh, sì. Mio padre a volte si alzava la mattina con la voglia di partire e… si partiva, qualunque fosse il meteo. Anche con mare forza 7. Gli amici ci lasciavano a piedi, io no. E mia madre, poverina, preoccupata: ‘Guarda che mi porta via la figliola!’. Sono ricordi che adesso fanno sorridere, ma qualche traversata agitata l’abbiamo fatta.
Questa barca su cui navighiamo oggi è ancora quella di suo padre?
Sì, è la stessa. L’ho rimessa a posto da poco, ci ho fatto fare dei lavori perché negli ultimi anni era stata un po’ trascurata. Ora è tornata in forma. È una barca che ha spazi generosi, veri. Niente trovate di design che rubano volumi. Le barche moderne a volte sembrano camere d’albergo in miniatura. Questa invece ha una dimensione giusta, vivibile.
Se un giorno dovesse cambiare barca, come la immagina?
Bella domanda. Di certo non una di quelle barche moderne, tutte spigolose. Quelle che alcuni chiamano ‘ferri da stiro’. Mi piacciono le linee più morbide, classiche. Avevo pensato anche a un Pardo, ma poi ho capito che per viverci davvero, per lavorarci anche un po’, serve altro. Per ora questa va più che bene.
Cosa cerca in una marina quando viaggia in barca?
Le cose essenziali: corrente, acqua, servizi di assistenza in caso di problemi. Poi se ci sono anche negozi e ristoranti, meglio. Ma l’importante è che funzioni tutto. Purtroppo, non è sempre così. In Corsica, per esempio, c’è spesso una certa ostilità verso gli italiani. Ti dicono che non c’è corrente, o che l’acqua è finita. E non è un caso. In Sardegna invece mancano proprio le strutture. Soprattutto sulla costa ovest. Da Alghero a Oristano c’è poco, bisogna pianificare tutto bene. A Santa Teresa hanno fatto una marina nuova, ma non è un granché. A Palau, invece, si sta lavorando a un progetto interessante, anche se per ora con barche sopra una certa lunghezza non è possibile.
Le piace frequentare i luoghi mondani della nautica, come Porto Cervo o Forte dei Marmi?
No, non mi interessa. Per lavoro sono sempre in mezzo alla gente, quando ho venti giorni liberi voglio stare tranquilla. Magari scendo un giorno a San Pantaleo,
che adoro, ma solo se mi va. A Porto Cervo ci vado una volta all’anno, per dovere più che per piacere.
Cosa pensa della nautica come sistema? Ci sono cose che migliorerebbe?
Sarebbe bello che ci fosse più attenzione alla qualità dell’accoglienza. E anche un po’ più di passione vera. Mi piacerebbe, per esempio, creare un’associazione di donne armatrici. Ce ne sono tante, ma spesso restano dietro le quinte. Sarebbe bello condividere esperienze, conoscenze, magari anche organizzare eventi. Una volta, con la nostra associazione sportiva, abbiamo fatto una “corsa armatoriale”, una piccola regata tra amici, dalle nostre banchine verso Spargi. Niente di competitivo, ma molto bello. Vorrei rifarlo.
Per chiudere: qual è il suo posto perfetto, quello dove si sente davvero bene?
Senza dubbio la Sardegna. Vorrei viverci un giorno. Ogni volta che arrivo davanti all’isola di Spargi, o alla Maddalena, sento che è lì che vorrei restare.
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Simonetta Vecoli con Michael Tirrito (AssoYacht)





