Capt. Pietro Giordano: “La navigazione moderna nasce dalla vela, non dal motore”
Sicurezza, meteo e regole di bordo sono i temi più importanti per il comandante del m/y Bel1 di Rossinavi, che ha un lungo passato nella vela e lavora in team con la moglie Serena Todaro, primo ufficiale
Montecarlo – In occasione del Monaco Yacht Show, SUPER YACHT 24 ha incontrato il comandante Pietro Giordano a bordo del M/Y Bel1, UN 50 metri di Rossinavi con design di Fulvio De Simoni Yacht Design e interni di Team for Design – Enrico Gobbi. Secondo Federico Rossi, Coo del cantiere, “abbiamo realizzato Bel1 completamente in alluminio, una tecnica costruttiva che è ormai una delle nostre competenze consolidate: rispetto a uno yacht equivalente in acciaio offre fino al 10% di spazio abitabile in più, riduce i consumi del 50% e il pescaggio dell’8%”.
Comandante com’è nato il suo rapporto con Rossinavi e qual è stato il suo contributo alla costruzione?
“Lo yacht è gestito da una società di management estera. L’armatore si è rivolto a loro per il reclutamento del comandante, e sono stato selezionato in base al profilo e all’esperienza. Quando sono salito a bordo, circa sette mesi prima della delivery finale, molte operazioni erano ancora in corso. La struttura principale era già definita, ma il cantiere si è dimostrato estremamente disponibile nel recepire modifiche e change order anche importanti, fino all’ultimo minuto. Abbiamo potuto proporre adattamenti basati sulle esigenze dell’equipaggio e sulle operazioni reali di bordo, e il cantiere si è mostrato sempre ricettivo. Molti cantieri non accettano modifiche nell’ultimo anno di costruzione, Rossinavi non si è invece chiuso in vincoli contrattuali ma ha mantenuto un dialogo diretto e costruttivo con noi, sia con il team tecnico sia con la proprietà”.
Può raccontarci alcune modifiche o soluzioni tecniche che ha voluto introdurre?
“Dal punto di vista operativo la barca è conforme alla normativa commerciale di Malta, abbiamo installato strumenti di navigazione avanzati, implementato Ecdis (sistema di navigazione elettronico per gestire informazioni cartografiche, n.d.r.) e software aggiornati per il passage plan, che abbiamo fortemente voluto e che il cantiere ha accolto senza problemi. Un altro aspetto importante è la gestione del tender. Non fa parte della fornitura del cantiere, ma è parte integrante dell’operatività: deve viaggiare con noi, stare all’ormeggio accanto a noi e rispondere alle stesse esigenze logistiche e di sicurezza”.
Che mezzo avete scelto e quali sono state le implicazioni tecniche?
“È un Axopar 37, una scelta dell’armatore, ma la sua gestione operativa ricade su di noi. Abbiamo dovuto studiare accorgimenti specifici: come viene rimorchiato, dove passano le linee d’ormeggio, l’installazione delle aste di posta, la gestione dei carichi. La nostra barca principale è estremamente stabile – dotata di quattro pinne stabilizzatrici – mentre il tender, che non ha stabilizzatori, si muove molto. Quando siamo all’ancora con mare formato può diventare un cavallo imbizzarrito da dieci tonnellate che si muove accanto allo scafo principale. Bisogna sapere come gestirlo e come salirci in sicurezza, anche con 50 nodi di vento. Vengo dal mondo della vela, e lì la gestione dei carichi e dei movimenti orizzontali sul piano di coperta è parte del Dna. Ho applicato quel tipo di mentalità anche qui, adattando soluzioni come bozzelli e sistemi di paranchi ripiegabili che derivano dal mondo velico. La navigazione moderna nasce dalla vela, non dal motore, e quella scuola marinaresca è preziosa anche sui motoryacht”.
Ha parlato di stabilizzazione, quali impianti monta Bel1?
“Il sistema di stabilizzazione è stato uno dei punti su cui abbiamo lavorato di più dopo la consegna. La barca è dotata di quattro pinne stabilizzatrici Cmc Marine e il cantiere ci ha supportato nell’adjustment del sistema, che a volte richiede mesi di prove. Finché non si incontrano tutte le diverse condizioni di mare — calma piatta, vento, swell di lato o di prua — non si riesce a definire il settaggio ideale. Abbiamo collaborato con i tecnici del fornitore per calibrare i parametri di sensibilità, velocità di esecuzione e rotazione, e oggi abbiamo un booklet dedicato in cui annotiamo le impostazioni migliori in base alle condizioni. Ogni scafo è diverso: conoscere bene la barca e il suo comportamento è la chiave per ottenere la massima stabilità e comfort”.
Comandante lei lavora insieme a sua moglie, Serena Todaro, che è anche primo ufficiale.
“Serena e io abbiamo iniziato la nostra carriera nello yachting come coppia, già prima di imbarcarci professionalmente insieme. Avevamo esperienze di navigazione precedenti e quando abbiamo deciso di intraprendere questa carriera, lo abbiamo fatto come team. Oggi lavoriamo insieme da diversi anni: io come comandante, lei come primo ufficiale. Serena si occupa della gestione del ponte, del coordinamento del bosun (nostromo, n.d.r.) e dei marinai, oltre alla parte safety e di navigazione”.
A bordo avete altre coppie?
“Sì, abbiamo altre due coppie. Vivere e lavorare in spazi ristretti richiede intelligenza e rispetto. In barca si fanno le cose che si fanno in un luogo di lavoro, e non c’è spazio per confondere la sfera privata con quella professionale. Non abbiamo mai avuto problemi, perché i ruoli sono chiari e le regole ben definite”.
Quali regole di convivenza adottate per mantenere l’armonia a bordo?
“Sono raccolte nei miei Master standing orders. Ogni membro dell’equipaggio le legge e le firma all’imbarco. Sono norme pratiche nate dall’esperienza: piccole regole che fanno la differenza nella vita quotidiana. Per esempio, se due uomini condividono la stessa cabina, devono usare la toilette da seduti. Sembra banale, ma serve a mantenere pulizia e rispetto. Vivere per lunghi periodi in spazi ridotti richiede disciplina e sensibilità. A volte è meglio un marinaio o un ingegnere un po’ meno esperto ma equilibrato, piuttosto che un super tecnico difficile da gestire. È come andare in campeggio con uno sconosciuto: se non vi date delle regole scritte, finisce male. E a bordo è lo stesso”.
Lavorare su un superyacht è un lavoro da sogno?
“La parola ‘lavoro’ dice già tutto. È un mestiere bellissimo, ma resta un lavoro, con regole, responsabilità e ritmi impegnativi. Below Deck è una fiction, non un documentario. Noi, nella selezione del crew, verifichiamo sempre le aspettative: chi cerca una vacanza non sale a bordo. Il contratto è chiaro, con mansioni e regole precise. Chi confonde i ruoli, semplicemente, non ha capito il mestiere”.
Ci racconta della sua carriera nella vela?
“Prima ero comandante su una barca a vela di 40 metri, il Mirabella II, una barca molto conosciuta: faceva parte della celebre serie dei Mirabella, con i quali abbiamo navigato tanto, fatto charter e diverse traversate oceaniche. Prima ancora ho comandato una barca a vela di 56 metri, modernissima, su cui abbiamo lavorato per stagioni intere. Sono esperienze molto formative: la vela ti obbliga a ragionare in modo diverso, a conoscere a fondo la fisica e la dinamica della barca”.
Com’è stato il passaggio dal mondo della vela a quello dei grandi motoryacht?
“Una barca a motore, pur nella sua complessità di spazi, è più semplice: la vela ha la stessa hotellerie e in più i sistemi di manovra, che sono spesso custom. Lo yacht a motore è progettato per avere un certo sbandamento durate il suo utilizzo mente le barche a vela possono passare da 0 a 25 gradi di sbandamento in pochi minuti, e tutto deve essere organizzato di conseguenza, anche negli interni. Le manovre sono coordinate in cuffia, spesso con telecomandi remoti, e ogni movimento deve essere sincronizzato e questo richiede un grande allenamento da parte dell’equipaggio. Inoltre c’è la parte di ricerca della performance e gli armatori sono spesso più demanding”.
Come gestite le condizioni meteo?
“La gestione del meteo è una parte fondamentale del nostro lavoro. Me ne occupo personalmente insieme al primo ufficiale. Entrambi abbiamo esperienza di traversate atlantiche a vela e una formazione specifica per la lettura dei modelli meteo. Ogni giorno analizziamo più modelli — uno, due, anche tre volte al giorno — confrontando diverse fonti, perché ogni società elabora i dati in modo differente. Con l’esperienza impariamo a capire quale funziona meglio per ciascuna area. E poi c’è sempre il vecchio metodo di alzare gli occhi al cielo e guardare com’è la situazione. Infine bisogna rendere compatibili le scelte dell’armatore con il meteo”.
E se l’armatore volesse restare in un luogo non sicuro?
“Non mi è mai capitato di trovarmi in contrasto con un armatore. Gli armatori, in generale, sono persone intelligenti, abituate a gestire aziende complesse e relazionarsi con dei manager. Nessuno vuole rimanere a bordo se rischia di cadere dal letto”.
Parliamo di sicurezza: quali sono le misure più importanti che adottate a bordo?
“La sicurezza è un processo continuo. Le assicurazioni fanno ispezioni molto dettagliate: controllano gli scarichi delle asciugatrici, la gestione dei residui di cotone, il rischio d’incendio in cucina o nelle sale macchine. Anche un dettaglio come la ricarica del telefonino è regolato: i crew devono usare solo accessori originali. Sembra banale, ma un caricatore non certificato può innescare un incendio. Durante le drill di emergenza coinvolgiamo anche l’armatore, che spesso partecipa con curiosità e interesse”.
Quali sono altri accorgimenti fanno la differenza nella sicurezza quotidiana?
“Il segreto è l’attenzione al dettaglio. Bisogna avere mille occhi perché il problema può arrivare da una banale disattenzione come un ferro da stiro lasciato incustodito o il cuoco che dimentica la piastra accesa. Stiamo attenti alla lista dei prodotti infiammabili, a dove vengono stivati”.
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