Emanuele Camporese e Stefano Dellepiane presentano la neonata Aegua
La società di consulenza affianca armatori seguendo progetti full custom e oltre le 500 Gt: “Uno yacht icona nasce dall’armonia tra armatore, cantiere e designer”
Fondata da Emanuele Camporese e Stefano Dellepiane, Aegua è una società di consulenza che opera a livello internazionale nella costruzione e nel refit di superyacht, specializzata nel settore oltre le 500 Gt e custom. Aegua affianca gli armatori dalla fase di concept fino alla consegna e l’attività comprende gestione di nuove costruzioni, rappresentanza dell’armatore, refit, revisione delle specifiche e dei contratti, supervisione in cantiere e supporto alla consegna. SUPER YACHT 24 ha intervistato i fondatori, due ingegneri navali con lunga esperienza maturata nel settore militare e in cantieri come Fincantieri, Azimut Benetti e The Italian Sea Group: “Il nostro approccio è internazionale: lavoriamo con clienti di tutto il mondo, giovani e experienced, e stiamo già osservando le esigenze per i prossimi 5-10 anni. Aggiorniamo costantemente le nostre competenze perché i regolamenti cambiano in fretta”.
Come è avvenuta la genesi di Aegua e qual è la sua visione?
“Abbiamo fondato Aegua poco più di un anno fa, a settembre 2024, ma la nostra storia nasce molto prima. Collaboriamo insieme da circa vent’anni nel settore dello yachting, e se consideriamo anche l’industria navale arriviamo a venticinque anni di esperienza. Ci conosciamo da tempo e abbiamo sempre avuto l’idea di unire le forze per creare una realtà che potesse offrire servizi di alto livello. La società nasce proprio da questa visione: fornire servizi integrati, completi, che coprano tutte le fasi di vita di uno yacht. Venendo da cantieri come Azimut Benetti, Fincantieri e Admiral (The Italian Sea Group) abbiamo osservato il mercato e compreso che c’era bisogno di una proposta capace di gestire l’intero percorso: dall’idea dell’armatore, al proof of concept, agli studi di fattibilità, alla fase precontrattuale, fino alla costruzione, alle prove in mare, alla consegna e alla gestione della garanzia. Ci occupiamo anche di sviluppo tecnologico, assessment, ricerca e consulenze di nicchia (ad esempio stabilità, nuovi combustibili, consulenze tecniche specifiche). Lo facciamo con le nostre competenze e con un network di professionisti costruito negli anni”.
Seguite anche la fase di garanzia dopo il varo?
“Sì, la garanzia è una fase molto delicata, perché ogni yacht ha una storia diversa e ogni cantiere un proprio approccio. In queste commesse lunghe, che possono durare anni, entrano in gioco variabili imprevedibili ed essere presenti nella fase di garanzia significa aiutare sia il cliente sia il cantiere a trovare soluzioni concrete, anche considerando che le risorse disponibili non sono infinite. Spesso le stesse squadre che costruiscono sono quelle che si occupano della garanzia”.
Come aiutate i clienti nelle scelte che riguardano bandiere e regolamenti?
“Abbiamo una lunga esperienza maturata grazie a un lavoro iniziato agli albori della materia collaborando a stretto contatto con enti e comitati ad hoc. Consigliamo sempre di costruire secondo standard commerciali, anche se lo yacht sarà usato solo privatamente. Questo perché i regolamenti commerciali garantiscono maggiore sicurezza, soprattutto contro rischi come incendi, e aumentano anche la rivendibilità dello yacht. Lavoriamo con tutte le principali bandiere: Red Ensign, Isole Cook, Marshall e Malta. La scelta finale spesso dipende da motivazioni finanziarie o personali dell’armatore, ma il nostro compito è guidarlo affinché la barca sia costruita secondo standard solidi. Negli ultimi anni abbiamo anche suggerito di adottare un doppio standard. Non è difficile da gestire per noi e dà al cliente più opzioni future. Inoltre conosciamo bene i limiti dei regolamenti: sappiamo identificare i ‘gap’ e consigliare soluzioni aggiuntive, ad esempio implementando standard extra laddove i regolamenti non coprono certi aspetti”.
E in termini di sicurezza, soprattutto con le nuove tecnologie?
“Le batterie al litio sono oggi il tema più discusso: hanno un rischio noto, quello del thermal runaway. Noi abbiamo seguito corsi specifici e svolgiamo risk assessment dedicati. È importante implementare sistemi di monitoraggio, raffreddamento, compartimentazioni dedicate e impianti di estinzione avanzati. Proponiamo spesso ai clienti l’installazione di sistemi ‘fog’ anche sotto le 500 Gt, anche se non obbligatori. Sono costi aggiuntivi, ma riducono enormemente il rischio e aumentano il valore dello yacht. Vale lo stesso per i garage dei toys: preferiamo soluzioni che riducano al minimo il rischio di incendio, anche se richiedono spazi e impianti più complessi”.
Parliamo di sostenibilità: sono più gli armatori o i cantieri a spingere in questa direzione?
“Entrambi. Ci sono armatori preparati che chiedono soluzioni innovative per ridurre l’impatto ambientale, e altri che si lasciano guidare dalle proposte commerciali dei cantieri. Abbiamo lavorato su yacht ibridi, diesel-elettrici con grandi pacchi batterie e a metanolo. In generale però la nostra convinzione è che il primo passo sia ridurre i consumi passivi, perché uno yacht consuma moltissimo, anche solo per i cosiddetti ‘carichi hotel’ come aria condizionata e impianti di bordo”.
Come è possibile farlo?
“Quando parliamo di riduzione dei consumi ci riferiamo soprattutto a soluzioni passive, cioè che non richiedono all’armatore di cambiare abitudini. Le possibilità sono diverse e comprendono recupero di calore, Isolamento termico e materiali, ottimizzazione idrodinamica degli scafi. Utilizziamo il calore dei motori dal circuito di raffreddamento o dai gas di scarico per scaldare l’acqua di boiler, piscine o sistemi di re-heating dell’aria condizionata. Riguardo all’isolamento è possibile trattare le vetrate con film speciali, vetri che riducono l’ingresso di calore e allo stesso tempo proteggono gli interni dall’invecchiamento dovuto alla luce. Per gli scafi spesso viene fatta una simulazione Cfd o prove in vasca, ma non sempre si spinge fino in fondo. Con un design più attento si possono ottenere risparmi paragonabili a quelli di un sistema ibrido, senza impianti complessi”.
L’ottimizzazione dello scafo è invasiva rispetto al layout interno?
“L’ottimizzazione idrodinamica di uno scafo si concentra soprattutto a prua e a poppa. Intervenire significa, ad esempio, ridurre la zona di baglio massimo oppure modificare le linee di poppa, che spesso ospitano beach club o spazi di intrattenimento. È qui che nascono i compromessi: da un lato migliorare le forme porta a una riduzione significativa dei consumi e a una maggiore efficienza in navigazione, dall’altro può limitare alcuni spazi che l’armatore desidera”.
Sul metanolo, qual è la vostra visione?
“Abbiamo seguito uno dei primi progetti di yacht a metanolo e ci siamo confrontati con esperienze reali in Europa. La tecnologia è promettente, ma il primo limite è la disponibilità di metanolo green e il costo. Inoltre richiede molto spazio a bordo e procedure di sicurezza particolari, perché è un combustibile tossico. Crediamo comunque che sia una delle strade del futuro, insieme a idrogeno e ad altri combustibili. La tecnologia esiste già, anche in ambito militare o su sommergibili, ma non è ancora facilmente scalabile né accettata sullo yachting”.
Come stanno cambiando gli armatori?
“I clienti giovani sono più pragmatici, personalizzano molto e vogliono un interlocutore unico e Aegua fornisce infatti un servizio completo. Nei layout cercano convivialità, spazi meno formali, aree per stare con amici e famiglia, magari una chase boat per muoversi. Non sono necessariamente più attenti alla sostenibilità rispetto ai clienti più esperti. Un aspetto interessante è che oggi parliamo sempre più di armatori, al plurale: la coppia è spesso protagonista delle scelte, e lo yacht riflette gusti ed esigenze condivise”.
Quali progetti state seguendo oggi?
“Abbiamo appena consegnato un full custom che sarà presentato al Monaco Yacht Show, un RJ Class di Cantiere delle Marche con firme di alto livello per esterni e interni (Francesco Paszkowski e Achille Salvagni). Inoltre abbiamo diversi progetti, tra cui un explorer sotto le 500 Gt, uno yacht full custom sopra le 1000 Gt, un catamarano a motore da 100 piedi, un 50 metri full custom, siamo in fase precontrattuale per un giga yacht e stiamo seguendo un refit importante con rimotorizzazione e modifiche strutturali”.
Cosa rende uno yacht davvero un’icona?
“Più che le dimensioni o la tecnologia, un’icona nasce dall’armonia che si crea tra le parti. Quando c’è collaborazione proficua tra armatore, cantiere, designer e consulenti, il progetto prende forza. Non significa che non ci siano momenti difficili, anzi: ma se tutti spingono nella stessa direzione, si riesce ad andare oltre il contratto e a ottenere qualcosa che resta nel tempo. Lo capisci quando sali a bordo: percepisci che la barca è frutto di un percorso condiviso. È un po’ quello che raccontano anche altri colleghi che hanno seguito progetti iconici: a un certo punto ci si prende per mano e si porta lo yacht alla consegna insieme. Sono quelle le esperienze che ci danno più soddisfazione in assoluto. Inoltre è probabile che questi yacht vengano poi scelti per importanti refit.”
Ha parlato di refit, quanto conta per voi?
“Sempre di più. Abbiamo lavorato su rimotorizzazioni, allungamenti, aggiunta di stabilizzatori, modifiche di interni e layout. Sono progetti lunghi e complessi, paragonabili a una nuova costruzione. Il refit sta crescendo per vari motivi: da un lato i tempi di consegna dei nuovi yacht si allungano, dall’altro molti armatori preferiscono rinnovare yacht iconici già affidabili. Ci piace molto lavorare in questo ambito, perché unisce competenze tecniche, project management e capacità di gestire rapporti lunghi con i clienti”.
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