Capt. Mosca: “Il comandante nasce, vive e muore solo”
Lo racconta Luca Mosca, comandante del 97 metri Lürssen Carinthia VII, che fa il punto sulle dinamiche di bordo e le responsabilità nella gestione di uno yacht durante i faticosi mesi di servizio
Questo servizio è stato pubblicato per la prima volta nel numero 3-2025 del supplemento Yacht Upstream disponibile a questo link
In occasione dell’edizione 2025 di SeaYou che si è svolto al Marina Aeroporto di Genova, SUPER YACHT 24 ha avuto la possibilità di incontrare Luca Mosca, attuale comandante del 97 metri Lürssen Carinthia VII e di approfondire alcuni temi importanti legati alle dinamiche di bordo di cui aveva parlato come relatore durante il convegno Navigating the Truth moderato dalla comandante Kelly Gordon insieme a Emma Kate Ross, direttrice e co-fondatrice di Seas the Mind per la salute mentale a bordo. L’argomento del convegno era il confronto tra finzione, spinta dai social e reality show come Below Deck, e realtà nel mondo dello yachting.
Comandante qual è la sua opinione su questo genere di programmi?
“Il problema maggiore è gestire le aspettative degli equipaggi, specialmente le nuove generazioni, ragazzi di 20 anni che a volte arrivano a bordo ispirati da programmi come Below Deck di cui, ammetto, non sono un grande fan. Lo yachting è un’industria, una carriera e una professione seria. Non voglio dire che Below Deck abbia avuto un impatto negativo al 100%, parlare di yachting e charter è sempre positivo ed è una grande pubblicità per la nostra industria. Ma ripeto, dobbiamo gestire le aspettative di chi sceglie questo tipo di lavoro e si aspetta poi le quelle stesse dinamiche”.
Può farci un esempio?
“Di recente ho ricevuto forti pressioni da un equipaggio a causa del lungo tempo necessario a incassare e distribuire la mancia avuta dopo un charter. Sono serviti mesi di lavoro con la difficoltà di elementi come norme valutarie e antiriciclaggio, trasparenza bancaria, bonifici dall’estero, con 40 persone che tutti i giorni mi chiedevano dove fosse finita la loro mancia, pensando addirittura che comandante e management fossero d’accordo per intascarsela. Un grande stress mentale; alcuni si aspettano alla fine di un charter che tu dia loro 10mila euro in contanti, come magari hanno visto proprio in qualche episodio di Below Deck o letto su qualche post di Facebook, senza conoscere e capire tutte le problematiche connesse”.
Nel convegno si è parlato anche di problemi di carattere sessuale o legati all’abuso di alcol.
“L’alcol è un grande problema e recentemente abbiamo visto le conseguenze del suo abuso con l’incidente accaduto al tender del motoryacht Loon lo scorso dicembre. Lo stesso vale per il sexual harassment a bordo, che a volte è proprio una conseguenza dell’abuso di alcol. Per questo e altri motivi e per mia scelta, tutti gli yacht al mio comando sono ‘dry ship’”.
Come si affrontano situazioni del genere?
“Come tutti i problemi bisogna affrontarli con il buon senso, non importa quale training tu abbia fatto, alla fine è l’esperienza a ispirare le tue decisioni ed azioni. Si parla spesso di mental health a bordo, io dico all’equipaggio che la mia porta è sempre aperta e sono sempre disponibile ad ascoltare e, nel limite delle mie conoscenze e capacità, consigliare tutti, ma devono essere argomenti seri e importanti, non lamentele sul gusto degli yogurt o l’assortimento dei cereali a bordo “.
Siete quindi anche un po’ psicologi.
“Certamente, fa parte del ruolo del comandante essere anche psicologo e capire quando l’equipaggio è troppo stressato, quando allentare la pressione o quando concedere qualcosa per gestire lo salute mentale dell’equipaggio”.
Gli armatori sono aperti a comprendere eventuali situazioni di stanchezza?
“Non tutti, qualcuno a volte capisce e nel corso di lunghi periodi di permanenza a bordo si riesce, a rotazione, a portare a terra l’equipaggio. Ma non è comune, ci sono armatori che non comprendono certe dinamiche, ed è quindi dovere del comandante a volte schierarsi dalla parte dell’equipaggio e difenderne i diritti, con saggezza e imparzialità, e valutare quali sono le reali condizioni di lavoro. Il management dovrebbe essere il supporto con cui fare team per portare questi argomenti all’armatore, ma spesso il suo tempo libero è più importante di tutto; quindi, bisogna scendere a compromessi e organizzare tutte le attività in modo da non far soffrire né penalizzare troppo qualcuno, gestendo bene inoltre la normativa sulle ‘hours of rest’ che spettano all’equipaggio”.
A proposito, come funziona il meccanismo del giorno di riposo?
“I nostri contratti prevedono 7 giorni lavorativi su 7 per 365 giorni all’anno, con ovviamente un periodo o più di ferie. Spesso le nuove leve non capiscono che il giorno di risposo non è un diritto ma una gentile concessione del comandante, dell’armatore o del management. Se in estate non si riesce ad averlo, nella stagione invernale o durante i periodi di manutenzione, quando è più semplice, si cerca di compensare, e si recupera il lavoro extra. Su yacht delle dimensioni di Carinthia VII capita di rimanere all’ancora per mesi di fila, un grande disagio per l’equipaggio, che a volte ha bisogno di staccare, sia fisicamente che, soprattutto, mentalmente. Per questo dico che è importante essere vigile e non arrivare mai al punto di rottura. Come già detto, Carinthia VII è una ‘dry ship’, cioè l’equipaggio non può bere alcolici a bordo, ma in determinate e limitate occasioni, come un compleanno o certe festività e comunque sempre senza ospiti a bordo, possono esserci delle eccezioni, sempre nei limiti e rispettando ogni canone di sicurezza. Nei periodi di ‘stanca’, inoltre, vengono organizzate varie attività per l’equipaggio, a bordo o fuori bordo, come cene, paintball, escursioni, go kart, eventi sportivi, o semplicemente serate cinema o giochi di società, che sono utili a rinsaldare il team”.
Cosa consiglia al riguardo?
“Durante la selezione dei membri dell’equipaggio e nei colloqui bisogna sempre dire la verità ed essere onesti, specificare cosa possono aspettarsi e cosa no, come la possibile mancanza di giorni di riposo per la maggior parte dell’estate, turni di lavoro faticosi e lunghi periodi trascorsi all’àncora e non sulla terraferma. L’equipaggio deve essere informato e sapere a cosa va incontro, nel bene e nel male, non si può mentire”.
Quello del comandante è un ruolo solitario?
“Assolutamente sì, secondo la mia esperienza il comandante nasce, vive e muore solo. Non può mischiarsi troppo, e non è solo una questione di autorevolezza, ego o riverenza. Io non esco quasi mai con il mio equipaggio, la mia presenza sarebbe ingombrante e impedirebbe, a mio avviso, di essere spontanei e rilassati. Bisogna abituarsi a stare soli, relazionarsi con i propri affetti e con gli amici a casa, anche se poi a bordo c’è sempre qualcuno con cui leghi di più per fare due passi o scambiare qualche parola”.
A Genova si è accennato anche al recente suicidio di un collega. Cosa ne pensa?
“Prima di arrivare a quel punto bisogna avere la forza di parlare con qualcuno, e soprattutto chi ti è intorno dovrebbe realizzare che sei in pericolo ed hai bisogno di aiuto. Sono casi complicati e che secondo me non vengono solo da un carico di lavoro eccessivo, ma anche da agenti esterni. Un’azione del genere può nascere in qualsiasi ambiente, e quindi anche a bordo, ma concordo sul fatto che non è facile essere parte di un equipaggio”.
Quali sono le maggiori sfide in tal senso?
“Oggi si parla tanto, forse troppo, di mental health, ma la realtà è che questa non è una professione per tutti; non possiamo costruire il mondo perfetto e il training si ferma a un certo punto. È come in tutte le aziende, quando hai 10, 15, 30 o 40 membri d’equipaggio gestisci un’azienda con tutte le varie problematiche umane che comportano: problemi legati alla salute mentale, molestie sessuali, bullismo esistono ovunque, non solo nello yachting, ma vengono amplificati da format come Below Deck e in generale dai social media che disegnano un mondo perfetto e di esagerazioni”.
Per le nuove generazioni è quindi un problema?
“Sì, perché mediamente è una generazione che non legge, non si informa e basa tutta la sua conoscenza sui social, i maggiori responsabili del problema delle false aspettative e dei relativi danni allo yachting, e non solo. Ognuno si sente libero di scrivere quello che vuole, chiunque in via anonima può infamarti, magari per ignoranza, ma comunque mettere a rischio la tua carriera. Allo stesso tempo non bisogna generalizzare, ci sono anche giovani seri e determinati, magari fanno degli errori ma riesci a correggerli e a spiegare come invece devono funzionare le cose. Ed è su questi elementi che bisogna investire, cercando di farli crescere trasferendo a loro le nostre esperienze e conoscenze”.
Ha vissuto situazioni del genere a rischio?
“Un anno e mezzo dopo essere sbarcato da uno yacht, durante un charter è accaduto un episodio di molestie sessuali da parte di un ospite nei confronti di un membro dell’equipaggio, e i membri di un gruppo Facebook hanno iniziato a scrivere che il comandante non aveva preso tutti i provvedimenti necessari, a chiedere chi fosse il comandante, a ipotizzare che fosse un italiano ed alla fine è stato associato il mio nome. Ho dovuto pubblicamente ribadire che io non ero più il comandante di quello yacht da un anno e mezzo, e che quindi non c’entravo nulla con quella faccenda. Ma nel frattempo qualcuno avrà pensato male di me o dei comandanti italiani. Pazienza, ci siamo abituati. Alla fine, l’importante è avere la coscienza a posto ed essere in pace con sé stessi”.
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