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“Aria ed io, due creature libere”: i 90 anni della mitica imbarcazione a vela

Allo Yacht Club Italiano la festa per lo storico 8 Metri Stazza Internazionale. L’armatrice Serena Galvani racconta la rinascita della barca, il restauro filologico e il legame profondo che unisce memoria, mare e inclusione

di Giuseppe Orrù
24 Luglio 2025
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L’arrivo di ARIA_Foto Maccione

È stata una celebrazione che rimarrà negli annali dello Yacht Club Italiano e nella storia dello yachting classico. Il più antico Yacht Club d’Italia, fondato nel 1879, ha infatti ospitato il gala party organizzato per festeggiare i 90 anni di Aria, storica imbarcazione a vela appartenente alla Classe degli 8 Metri Stazza Internazionale. Lunga 14 metri, è stata progettata nel 1934 e varata nel 1935 presso il Cantiere Costaguta di Genova Voltri, su progetto di Attilio Costaguta. Dal 1998 appartiene all’armatrice bolognese Serena Galvani Seràgnoli, che dopo averla ritrovata abbandonata in Sicilia l’ha restaurata e fatta tornare ai fasti di un tempo, facendola partecipare e vincere in occasione delle più importanti regate internazionali.

Una novantina gli ospiti che hanno potuto vivere una serata unica, all’insegna della storia e della passione per le tradizioni navali. L’imbarcazione, che in 90 anni di storia ha fatto base all’Argentario, Napoli, in Francia, a Trieste, Gaeta, Fiumicino e sul Lago di Garda, dal 2023 issa orgogliosamente il vessillo dello Yacht Club Italiano di Genova, eletto suo nuovo porto di armamento. Regina della serata è stata Serena Galvani, arrivata dal mare proprio a bordo di Aria, che racconta a SUPER YACHT 24 il suo legame con la storica barca a vela.

Signora Galvani, quando e come ha incontrato per la prima volta Aria?

“Per studi accademici arrivo dal mondo della ricerca storica, forse per questo cercavo una barca che rappresentasse un pezzo di storia nautica importante. Quando mi sono imbattuta in Aria, che da vent’anni giaceva abbandonata su una collina di Favignana, completamente stravolta rispetto al suo progetto originale – lei, infatti, era nata nel 1935 come barca da regata di Stazza Internazionale – ‘volgarmente’ trasformata in barca da crociera, oltreché vetroresinata, in lei ho colto quell’importante frammento di storia ormai dimenticato. Il motore che l’aveva sporcata, l’albero e il boma in alluminio che ne avevano cancellato ogni signorile aspetto d’antan l’avevano totalmente emarginata dal suo mondo ed era ben lungi dal sembrare quell’opera d’arte della cantieristica classica che aveva scritto straordinarie pagine di storia della vela. Ci voleva coraggio per acquistarla e riportarla, attraverso un restauro importante e filologico, a riconquistare il suo pezzo di storia, ma, benché ne avessi viste altre, il mio istinto mi sussurrava che lei sarebbe stata la mia vita futura. Dopo averla acquistata e riportata a galleggiare, il giorno in cui il suo armatore precedente mi portò le sue vele, mi resi conto che il suo numero velico ‘8-I 17’ riassumeva in sé la data di nascita (8 dicembre) e di morte di mio padre che si era tolto la vita il 17 luglio di qualche anno prima. Capii allora che il mio istinto mi aveva guidato verso una reciproca ‘rinascita’ di vita. Entrambe, infatti, dovevamo rimetterci in sesto e iniziare un nuovo percorso insieme”.

Aria compie 90 anni: quali sono, secondo lei, i momenti più significativi di questa lunga storia?

“Novant’anni non sono solo una ‘cifra temporale’: sono un respiro, lungo quasi un secolo, fatto di mare, di vento e orizzonti, di sfide vinte, sempre in nome della storia e della ‘verità’. Ogni regata, ogni trofeo, anche quelli riconosciuti per meriti che vanno oltre lo sport (e ne possiamo annoverare davvero tanti tra Mediterraneo e Atlantico) sono momenti significativi da ricordare, così come lo sono i luoghi dove siamo state, gli equipaggi – che diventano ‘famiglia’ – e i suoi grandi timonieri: Dani De Grassi, che ci ha lasciati tre anni fa, e i Coppa America Roberto Ferrarese, Cino Ricci, Mauro Pelaschier e Pietro D’Alì che oggi naviga felicemente con noi. Indimenticabili tutte le regate tra cui l’America’s Cup Jubilée del 2001, a Cowes, dove la nostra vittoria in reale ci ha assicurato la presenza negli Annali della Coppa America. Sono armatrice di Aria dal 1998 e di questi ventisette anni ho ricordi indelebili. Credo che, in fondo, Aria, proprio per il suo rispetto della tradizione, incarni ancora la bellezza e quel sapore, un po’ antico, di navigare. Di questo ne vado fiera”.

 Quanto è stato complicato riportare Aria al suo stato originale?

“È stato un viaggio complesso e appassionante, quasi un’opera di archeologia nautica. Non avevamo i piani originali della barca, ma solo scritti originali che la descrivevano parzialmente: era dunque necessario avere capaci mastri d’ascia che lavorassero come si fa con un ‘reperto’, ossia cercando tracce, proporzioni e dettagli nascosti sotto le modifiche, fino a far riemergere la sua vera anima e a conservarne il più possibile, rifacendo le parti ‘ammalorate’ con identici materiali e calafature dell’epoca. Per quanto un restauro come questo sia estremamente costoso, l’ho voluto fermamente, non solo per formazione personale, ma perché credo sia un dovere. È assurdo, infatti, come purtroppo accade, che barche nate con un’identità precisa siano stravolte in nome delle performance che vogliono affrontare. Sarebbe come far ristrutturare un Raffaello a chi dipinge murales. Io preferisco navigare con nell’anima l’onore per la storia e per chi ha concepito e costruito Aria, facendo tutto il possibile per essere quanto più conforme all’originale: è una questione di rispetto. Chi non opta per questo, si costruisca una replica moderna”.

Il progetto di legge del 2003 per la tutela delle barche storiche nasce anche grazie ad Aria. Che ruolo ha avuto in quella battaglia?

“Direi un ruolo indispensabile, proprio perché esempio di quanto espresso nel Ddl approvato nel 2003 grazie all’allora Ministro Claudio Scajola e anche a Vittorio Sgarbi che a Imperia, nel 2000, mi aveva aiutato a promuovere l’idea. Arie, la mia Associazione per il recupero delle imbarcazioni d’epoca, aveva duramente lavorato per questa legge, attingendo anche idee dalla Francia che da molti anni salvaguardava il suo patrimonio nautico attraverso la volontà e i finanziamenti pubblici e di privati che collaboravano attivamente con lo Stato”.

Aria non è solo una barca storica, ma anche un progetto sociale. 

“Attraverso Aria ho cercato di restituire al mare ciò che il mare mi ha regalato: libertà, visione, fiducia. Per questo, negli anni, Aria è diventata anche una piattaforma viva per iniziative sociali e culturali. Ho accolto a bordo giovani, anche provenienti da istituti nautici, per insegnare loro il valore delle imbarcazioni storiche, testimoni di un passato marinaro e prodromo a un futuro di innovazione nautica. Ho poi fermamente voluto che Aria, con la nostra personale storia, fosse fonte e luogo di rinascita e inclusione per molti ragazzi con psicopatologie e fragilità importanti. Vede, quando si mollano gli ormeggi e ci si allontana dalla terra, là si lasciano i propri pesi; in mare si è equipaggio, senza distinzioni, e tutti si obbedisce a un comandante che ci guida a raggiungere una meta, sia essa una boa o un porto. E perché una barca possa fare tutto questo, occorre silenzio, concentrazione e sintonia. Io credo che il mare sia una buona medicina, perché dà a ciascuno la possibilità di ritrovarsi e la vita in barca può insegnare davvero tantissimo”.

Lei ha fatto di Aria un modo di fare vela “inclusivo”. Tra diporto e occasione per fare sport, come giudica la nautica di oggi?

“La nautica di oggi ha fatto enormi passi in avanti in termini di tecnologia, sicurezza, accessibilità, ma proprio in questa corsa verso il più veloce, il più facile, il più comodo a volte si rischia di perdere qualcosa di essenziale: il senso del mare. Tutto è diventato più performante; la cultura della velocità spesso ha preso il posto di quella dell’attesa, dell’ascolto, della rotta tracciata col cuore. Oggi si acquistano barche che sono più simili a case galleggianti, ma spesso si dimentica che la vela – quella vera – è prima di tutto un rapporto non con l’oggetto, ma con la natura e con sé stessi. È un modo secolare di stare al mondo, di imparare a leggere il vento, a rallentare, a fidarsi. Io credo che la modernità sia anche questa: non semplificare, ma includere. Non costruire solo barche nuove, ma anche persone più consapevoli”.

C’è un ricordo o un episodio particolare vissuto a bordo che le è rimasto impresso più degli altri?

“Il giro dell’isola di Whight a quel famoso Giubileo della Coppa America: un po’ più di 60 miglia da affrontare serenamente, e con a bordo tanta allegria, bolinando fino ai Needles, mentre barche come Luna Rossa 2000, Stealth di Gianni Agnelli – che con le sue vele nere era come un corvo in picchiata – ci superavano a una velocità incredibile, dandoci il senso di essere davvero in Coppa America, ma rallentavano poi, come noi, dopo i Needles dove la corrente contraria raggiungeva i 6, 7, finanche ai 9 nodi! Ecco, lì i sorrisi dovevano per forza lasciare il passo alla tensione e alla concentrazione perché dove la corrente era più forte dell’andatura della barca bisognava calare l’ancora per non tornare indietro e fare danni seri. Aria filava a 8 nodi e mezzo e, nonostante la rottura di uno spinnaker, riuscimmo ad arrivare al traguardo primi della nostra categoria. Mentre i cannoni del Royal Yacht Squadron di Londra e del New York Yacht Club tuonarono l’arrivo, i nostri volti erano pieni di punti esclamativi: avevamo vinto nella nostra categoria ed eravamo arrivati ‘solo’ sei ore dopo Luna Rossa 2000: non potevamo che essere felici”.

In questi anni a bordo di Aria sono saliti grandi timonieri. Cosa significa per lei affidare la sua barca a certi nomi?

“Significa avere un direttore d’orchestra speciale, in grado di governare la barca in modo eccellente e di coordinare l’equipaggio al top”.

Cosa si augura per il futuro di Aria?

“Di continuare così, io e lei, come nel secondo libro che ho scritto su Aria, intitolato ‘Tu ed Io’ e dedicato a mio padre. Perché ogni ‘tu’, nella vita, può trovare il proprio ‘io’, indipendentemente da chi esso sia. In questo caso, complici anche i numeri, Aria ed io ci siamo ritrovate”.

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ARIA in regata_Foto M. Bertolin Serena Galvani, Carlo Cameli, Simona Ferro_Foto B. Pillola Serena Galvani_Foto Maccione Yacht Club Italiano_Foto Maccione ARIA Equipaggio Cowes

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