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Bianchi (Sangiorgio Marine): “Spingiamo per crescere anche nel refit”

Il cantiere genovese fondato nel 2021 punta all’espansione delle sue attività di manutenzione e riparazione con un servizio ‘chiavi in mano’ per il cliente. Serve una riorganizzazione degli spazi e una burocrazia più snella

di Alberto Mariotti
11 Maggio 2025
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Edoardo Bianchi Sangiorgio Marine refit

Sangiorgio Marine è un cantiere specializzato nella costruzione e nel refitting di imbarcazioni da regata e fast cruising performanti, realizzate con materiali compositi di ultima generazione. Fondato nel 2021 a Genova, il cantiere nasce dalla collaborazione tra Edoardo Bianchi, ingegnere ed ex velista olimpionico, e San Giorgio del Porto, azienda parte del gruppo Genova Industrie Navali con una storia secolare nel settore navalmeccanico. Grazie anche al team giovane e dinamico, Sangiorgio Marine continua a innovare offrendo soluzioni su misura per armatori e progettisti che cercano performance eccellenti e design all’avanguardia nel mondo della vela. Situato nel cuore del porto di Genova, il cantiere dispone di una struttura di 4.700 metri quadrati con accesso diretto all’acqua, facilitando le operazioni di alaggio e varo. SUPER YACHT 24 ha incontrato Edoardo Bianchi in occasione dei lavori sul superyacht a vela Zefira nel bacino MedTug (parte di Msc Group) di Genova”.

Quanto vale il refit nel vostro business?

“È un ramo d’azienda che abbiamo fatto crescere in maniera strutturata dall’anno scorso ed è una delle tre attività strategiche per Sangiorgio Marine, che si occupa di nuove costruzioni, refit e composito/componenti per qualsiasi settore: dalle case alle paratie per altri cantieri, stiamo aprendo l’orizzonte anche ad altri settori. Tutto è iniziato con i lavori sul SouthernWind 100 Morgana che abbiamo fatto in cantiere e tramite quell’operazione ho iniziato a conoscere questo settore per me nuovo. Mi sono appassionato e il sogno futuro è fare refit e gestione di tutte le barche costruite, che grazie ai Class40 iniziano ad essere un certo numero”.

Come vi state strutturando in tal senso?

“Abbiamo preso un responsabile, Massimo Bonelli, che segue tutto il ramo come responsabile di produzione e anche in ufficio ci siamo strutturati meglio per iniziare a dare più spazio a questo mercato. Stiamo cercando di focalizzarci sul mondo della vela dove possiamo applicare le nostre competenze che provengono dalla costruzione. Ci coinvolgono spesso per lavori di modifiche a timoni, prue, installazione di bompressi. Non facciamo semplice rimessaggio, prendiamo barche che hanno bisogno di essere aggiustate, modificate o riparate, quindi dove c’è bisogno di valore aggiunto”.

Qual è l’obiettivo di Sangiorgio Marine?

“Il nostro obiettivo è fornire un servizio completo e chiavi in mano: l’armatore può affidarsi completamente a noi per la gestione di tutti i lavori necessari e puntiamo a seguire il cliente dalla progettazione alla costruzione, fino al refitting, all’ingegnerie e alle prove in mare. In questo processo cerchiamo di mantenere la massima collaborazione con armatori e comandanti, coinvolgendoli nel processo e offrendo loro la possibilità di seguire i lavori”.

Esistono criticità?

“Il problema è sempre lo stesso, gli spazi. Non è vero che mancano, servirebbe riorganizzarli e ho chiara l’idea di come proporre un’ottimizzazione, tuttavia le nostre attività vengono a volte rallentate anche dalle tempistiche burocratiche”.

Quali sono i prossimi investimenti e interventi?

“Stiamo già lavorando ad un braccio antropomorfo con funzionalità di fresa e stampa 3D, sarà in funzione entro due o tre mesi e servirà sia per le nuove costruzioni sia per il refitting e le modifiche delle barche, oltre che per il composito in generale. Stiamo poi studiando l’installazione di pannelli solari, l’azienda consuma molta energia e vogliamo guardare avanti verso soluzioni green. E più in generale vorrei creare partnership e collaborazioni con aziende e broker per espandere il business dei superyacht, un settore che trovo affascinante e che ho conosciuto meglio grazie ai vori sul superyacht a vela Zefira”.

Quali strutture disponete per gli equipaggi?

“Stiamo lavorando alla realizzazione di una foresteria con una zona di hospitality dedicata agli equipaggi. Nel frattempo cerchiamo di fornire supporto logistico, ad esempio aiutando a trovare alloggio e fornendo indicazioni utili”.

Lavorate anche su yacht a motore?

“Sì, abbiamo modificato un Wally Power 64 ricostruendo completamente la tuga, che non esisteva, in carbonio preimpregnato. Siamo partiti dal progetto e dal design, una volta approvato dall’armatore abbiamo ingegnerizzato, costruito e installato tutti i componenti. Un lavoro di grande soddisfazione”.

Quali differenze nota con il mondo del motore?

“Le barche a vela sono sempre ‘rognose’, hanno armatori preparati ed esigenti e sono più scomode, perché hanno l’albero, la chiglia lunga, il timone con boccole sferiche particolari e di solito sono delicate: il composito nella barca a vela è più tecnologico e delicato rispetto a un composito tradizionale di un motoscafo, che ha meno esigenze di leggerezza e prestazioni. Servono quindi capacità superiori”.

Siamo al cospetto di Zefira, quali lavori avete svolto?

“L’intervento principale è stato eseguire il protocollo dei controlli quindicennali previsti dal registro del Lloyd’s, che comprende smontaggio e revisione di asse, elica, eliche di manovra a prua e poppa, timone con la sua boccola. Abbiamo smontato e revisionato tutte le prese a mare, inoltre abbiamo ripristinato la carena che dopo 15 anni di antivegetative aveva bisogno di un restyling e lo stesso è stato fatto sul timone. Per i lavori su albero e boma abbiamo collaborato con Max Spar di Enrico Franchetti, sono stati riverniciati e sono stati fatti controlli non distruttivi e vari interventi di riparazione”.

Come si è svolta l’operazione d’ingresso dello yacht nel bacino?

“È stato necessario un grande lavoro di preparazione e studio del piano di taccaggio. Tutti i cavalletti di acciaio e le zeppe di legno sono stati studiati e ingegnerizzati. Non sembra, ma ogni è stato progettato ad hoc e ha una densità diversa in base alla zona dello yacht che dovrà sorreggere. Una volta preparato e allagato lo scalo, lo yacht è entrato in dislocamento e cinque sub hanno gestito la fase di svuotamento dello scalo e di zeppa dello yacht sui cavalletti in base alla proporzione del carico tra chiglia e cavalletti. Per me è stata la prima volta, un lavoro molto interessante”.

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